martedì 11 settembre 2012

Giorni che ricordi ogni anno...


Avevo dodici anni. La scuola non era ancora iniziata. In quel periodo, trascorrevo i miei pomeriggi sotto casa, a giocare per strada assieme ad altri quattro amici. C’era L. di tre anni più piccola e spesso ci raggiungeva anche la sua sorellina; c’era S. un ragazzino più basso di me che oggi mi aveva superato in altezza di almeno 15 cm; c’era G. che potrei considerare la mammina del gruppo; e, inf
ine, c’era un altro ragazzino di cui non ricordo più il nome, ma perfettamente il viso e la sua voce. Ci divertivamo con poco. Spesso litigavamo e poi ci scrivevamo lunghe lettere per fare pace.
La mia routine prevedeva un telefilm alla tv, prima di scendere in strada dagli altri. Non erano ancora le 15, quando il telefilm venne interrotto per un edizione straordinaria del tg. Mia madre stirava ed io frustata andai da lei a lamentarmi della “sospensione”, poi ritornai in cucina, dove c’era la tv, nella precedente casa dove stavamo ancora in affitto. Mi lasciai cadere sul divano e non provai neppure a seguire il tg per cercare di capire cosa fosse successo: mi sembrava un’edizione straordinaria qualunque. Poi, lo vidi… in diretta… il secondo impatto.
Lì per lì lo guardai come se stessero trasmettendo quello che era successo e già mi rendevo, a poco a poco conto, che non fosse affatto routine. Nel minuto successivo, capii che, invece, fosse ciò che stava succedendo, in quell’esatto istante, e, d’un tratto, sentii il peso drammatico e grave di quel gesto. Alzai il volume per cercare di capirne di più. Mamma finì, intanto, di stirare e mi ritrovò appollaiata sul divano, con le ginocchia piegate e il mento poggiato su di esse, con lo sguardo fisso sulla tv. Si avvicinò anche lei per informarsi dell’accaduto… e non ricordo altro. Ciò che ho provato o ci siamo detti con mamma, è come un vuoto temporale nella mia memoria. Erano le 15 e poi d’improvviso sono le 16 e mezzo ed io sono per strada assieme agli altri miei amici. Ricordo che con loro parlammo dell’accaduto.
Quel pomeriggio non c’era G., ma c’era D., dell’età di L.
D. era tutto serio e con lui ragionammo come dei piccoli adulti, o così ci pensavamo. Provai a convincerli di quanto fosse grave l’accaduto, che presto ci sarebbe potuta essere una terza guerra mondiale (ero molto melodrammatica). D. era d’accordo. Il ragazzo, di cui non ricordo il nome, sostenne che avrebbero dovuto immediatamente gettare una bomba atomica sull’Afghanistan, così da eliminare una volta per tutte ogni nemico attuale o eventuale. Con D. lo contestammo: c’erano degli innocenti lì! Non si poteva uccidere così, senza guardare in faccia nessuno. Il ragazzino disse che loro lo avevano appena fatto; e noi che quel “loro” non riguardava l’intera popolazione afghana, ma forse solo una decina di essi. Poi, ricordo che ci mettemmo a parlare delle “guerre mondiali” vissute dai nostri nonni e di come si sarebbe svolta, in caso, al giorno d’oggi; in che modo e in quale misura ci avrebbe coinvolti?
Si fece sera. Dissi che al tg non raccontavano la verità, non completa, ma soltanto una parte di essa, quella che li faceva più comodo rivelarci (ma non mi riferivo all’attentato di cui ancora sapevamo ben poco, ma in generale ai fatti di cronaca). Stavolta D. non era d’accordo con me. Diceva che dovevamo fidarci, era il tg, erano adulti che raccontavano ciò che si verificava in Italia e nel mondo, ed era ovvio che non s’inventassero nulla. Insistetti e chiesero aiuto alla madre di L. che mi rimproverò di non raccontare frottole.
La parola “attentato” fu esaminata da più vedute, non appena iniziò la scuola, tra i banchi di classe, tra gli alunni e i professori. Entrò così nel mio vocabolario; e sono passati undici anni da allora… Se penso alla mia età, mi sembrano tantissimi; in riferimento a quell’11 settembre a New York, mi sembra, invece, impossibile che siano trascorsi degli anni e non solo qualche mese... 

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